Che cos’è un percorso di cura?
Mi scuso da subito se non parlo della mia storia perché è troppo complessa, e con passaggi e domande ancora aperte, ma riporto alcune riflessioni a partire da essa che vorrei condividere e che forse riguardano l’esperienza di molti di noi.
Detto questo, che cos’è un percorso di cura cui siamo abituati? A seconda di dove si è, può assumere un significato differente (ricordiamo a questo proposito il bellissimo testo di Tiziano Terzani in “Un altro giro di giostra” dove il protagonista sperimenta pratiche curative culturalmente diverse), ma probabilmente diviene più ampio e sfaccettato nel momento in cui ci si accorge di un sintomo, si decide di andare dal medico che fa delle ipotesi e ti dà (o invia) l’impegnativa per una o più visite ed esami, per finire con uno o più farmaci o trattamenti per poi magari ricominciare.
Passaggi ancor più difficili in questi anni, molto sotto pressione per la sanità alle prese con la pandemia e tutte le reazioni a catena che hanno comportato per la salute di tutti.
La mia impressione è che ciò che ancora spesso manca alla medicina occidentale, nonostante ci siano studi e discipline che integrano vari aspetti, è la visione complessiva della persona, utilizzando un termine in voga “olistica”, a favore di una settorializzazione e iperspecializzazione, per non parlare della scissione tra mente e corpo che, forse per praticità, o consuetudine, continua ad esserci.
Si sente la mancanza di un qualcuno che ti affianchi, che ti “osservi come persona con un qualcosa che non va” (un po’ come nelle bellissime descrizioni di O. Sacks) e che vada al di là della rispondenza stretta a sindromi codificate, (e che per es. ti fa camminare in uno spazio ristretto che già non è una condizione naturale) per guidarti in un percorso che può portare al ristabilirsi di quella condizione di salute cui non facevi troppo caso quando ce l’avevi o per lo meno ad un nuovo accettabile equilibrio.
Ciò richiede tempo, ascolto e preparazione anche da parte di chi vive la condizione di paziente. Forse un sintomo in qualche modo ci sta parlando di noi e ci sta dicendo che qualcosa non va? Allora il regista potrebbe essere il paziente stesso, se messo in grado di ascoltarsi.
Se il percorso è emblematico nelle patologie note, lo è ancor di più in quelle che ancora non si conoscono, per cui spesso passano anni prima di avere un’idea di che cosa sia successo, tra una girandola di tanti interlocutori anche autorevoli, alcuni molto empatici che hanno fatto gioco di squadra lavorando in équipe, altri che hanno visto una parte del paziente, magari per escludere la propria sfera di intervento, o per gestirla a prescindere dal resto; altri, finita la visita, non sono più reperibili, lasciando una sensazione di una grande frammentazione, fino ad arrivare a domandarsi chi dovesse gestire la regia di tutto questo? Il paziente? Il medico di famiglia che oggi più che mai, pur molto in gamba, si trova a lavorare in condizioni davvero sfavorevoli (con tempi
limitati nei quali prendere decisioni sul cosa fare, interrotti da continue telefonate, numero di pazienti cronici sempre più alto, tanta burocrazia e la concorrenza del dr. Google?)
Chi?
Forse, lo ripeto, pur nel difficile periodo storico e nel poco tempo, gli specialisti che sono davvero superspecializzati (neurologi, fisiatri, fisioterapisti, psicologi, nutrizionisti, osteopati ecc.) potrebbero parlarsi di più e conoscere meglio il campo di intervento dell’altro per collaborare meglio?
Guardandomi indietro, ricordo tutti i pazienti come me, giunti al Nord da tutta Italia con la speranza di trovare una risposta definitiva ai loro mali, quegli operatori medici e non, compresi i volontari in reparti difficili, o nel distretto che in questi anni ho visto lavorare andando al di là dello stretto dovuto con scrupolo, cortesia, umanità e le parole giuste. Riconoscimento più che dovuto sapendo anche come spesso si trovino ad operare.
A ciascuno la mia più profonda riconoscenza e l’augurio per tutti che sempre più ci si possa prendere cura delle persone in una visione complessiva delle stesse ,oltre al fornire loro una terapia. Alle Regioni e Aziende Sanitarie l’invito a non lasciarsi scappare di mano chi lavora bene e lavora anche sulla relazione con il paziente, perché queste cure e buone prassi non siano sempre più un privilegio di pochi.
Dicendo questo voglio ringraziare tutte le persone, operatori, medici, professionisti sanitari e non, amici, la famiglia e il buon Dio che mi hanno seguito in questi anni e ora anche A.R.D e la Fondazione Limpe DISMOV che con i loro webinar hanno dato molte risposte e che possono illuminare il percorso di chi si trova in standby in attesa di risposte e di interlocutori.
Semplicemente grazie. Silvia Valenti